In ricordo di Ennio Morricone – di Roberto Musto

Come è stato ampiamente e giustamente detto, la scomparsa di Ennio Morricone ci ha privati
di un grande musicista; è mancata una figura importante nel panorama della musica italiana e non
solo. Alle varie testimonianze di stima ed affetto che sono state offerte, vorrei aggiungere un mio
ricordo per mettere in evidenza un aspetto particolare della personalità dell’uomo e del musicista:
quello dello studioso, del ricercatore di nuovi linguaggi musicali, sollecitato in questo campo da un
altro grande musicista, Franco Evangelisti, che negli anni ’70 del secolo scorso era il principale
esponente della musica elettronica nel mondo romano. Si tratta di un episodio poco noto, che
tuttavia, a mio avviso, è significativo del suo amore per la musica a tutto campo.
Ho conosciuto Ennio Morricone in un modo del tutto casuale.
Vi racconto ora come.
Il 12 marzo del 1973 il direttore del Conservatorio di Musica “G. Rossini” di Pesaro, M°
Gherardo Macarini Carmignani, invia ai direttori dei Conservatori di Musica una lettera che ha per
oggetto l’invito ai docenti dei corsi di Musica Elettronica a partecipare ad un “Corso di
aggiornamento sulla didattica della composizione di strumenti elettronici”. Il corso, programmato
per i giorni 3/4/5 maggio del 1973, più che un corso di aggiornamento si presentava come un vero e
proprio seminario: alla convocazione era allegata tutta una serie di argomenti da trattare durante il
convegno.
Da tempo io mi occupavo di musica elettronica – il primo concerto lo avevo fatto nel 1964 – e
avevo un mio piccolo studio a Torino, in un alloggio situato all’ultimo piano mansardato di un
edificio del centro storico. Allora i musicisti non avevano a disposizione computer da utilizzare per
la composizione. Si lavorava – sintetizzo brevemente – con generatori di suoni a bassa frequenza; i
suoni erano registrati su due o tre registratori, normalmente a 2 o 4 piste, e poi mixati su un altro
registratore che fissava il risultato finale della composizione. Questo risultato finale spesso non
corrispondeva esattamente alla partitura, soprattutto perché i suoni provenienti dai diversi
registratori non rispettavano perfettamente l’andamento ritmico previsto, causa la pur piccola
diversità meccanica di scorrimento e gli attacchi manuali non perfettamente simultanei nel loro
avvio; un altro inconveniente era poi quello di non poter correggere, modificare o cancellare alcuni
passi, se non rifacendo il lavoro in parte o in tutto dal principio.
Pensai allora di risolvere questo problema. Ma prima volli andare a visitare alcuni studi europei
di musica elettronica per verificare se anche loro lamentavano questo inconveniente e se avevano
trovato una qualche soluzione. Quello che vidi e sentii fu purtroppo un po’ deludente: anche loro
lamentavano l’approssimazione dei risultati finali.
Tornato a casa ero più che mai convinto della necessità di risolvere la questione: ovviamente
avevo già in mente una qualche idea; ne parlai con un mio carissimo amico, l’ingegner Giovanni
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Comoglio, e ci mettemmo all’opera per costruire un’apparecchiatura che risolvesse questo problema.
La novità era costituita dal fatto di poter scrivere la partitura su un nastro di carta che
automaticamente pilotava l’emissione e la registrazione dei suoni. Sul nastro di carta erano
disegnate 10 piste continue corrispondenti a 10 generatori di suoni; su ciascuna pista si
trascrivevano le diverse parti assegnate a ciascun generatore, annerendo la porzione corrispondente
alla durata dei suoni previsti: una sequenza di spazi neri (suono) e bianchi (pause). Le tracce erano
lette da cellule fotoelettriche che pilotavano l’apertura e la chiusura del contatto che produceva il
suono. Apposite manopole permettevano inoltre di variare la velocità di scorrimento, l’attack (il
passaggio di una vibrazione dallo stato di quiete – pensate ad una corda ad esempio – ad un numero
di vibrazioni costanti nel tempo, corrispondenti al suono voluto) e il decay (il fenomeno inverso) di
ogni singolo suono. Brevettammo la nostra apparecchiatura, che chiamammo PSC (Programmable
Sequential Control), e la presentammo nel 1973 al “2e Salon international des inventions et des
techniques nouvelles” di Ginevra, ottenendo, il 26 di novembre del 1973, la medaglia di bronzo.
Non entro in ulteriori particolari, ma voglio solo ricordare che una partitura, pensata per strumenti
elettronici, poteva essere scritta usando la matita e la gomma, ottenendo così la possibilità sia di
sentire il risultato finale che risultava perfettamente conforme alla partitura e, se del caso, anche di
correggerla subito, cancellando o modificando i momenti non desiderati: il risultato finale era
dunque come voleva il compositore.
Ecco, di questa macchina parlai al convegno di Pesaro in cui ero andato, inviato dall’allora
direttore del Conservatorio “A. Vivaldi” di Alessandria M° Felice Quaranta, come suo
rappresentante. I partecipanti a questo convegno erano numerosi – circa 32 – e tra questi c’era un
folto gruppo di musicisti romani ( Aurelio Arcidiacono, Guido Baggiani, Giancarlo Bizzi, Gualtiero
Branchi, Gesualdo Clementi, Franco Evangelisti, Domenico Guaccero, Egisto Macchi, Ennio
Morricone, Giovanni Piazza, Fausto Razzi e Michelangelo Zurletti).
Quando fu il turno del mio intervento notai che alcuni dei musicisti romani (soprattutto
Evangelisti, Macchi e Morricone) prestavano un’attenzione a quanto dicevo che mi sembrava un po’
esagerata (il mio discorso era fondamentalmente tecnico); nella pausa mi vennero incontro e mi
fecero tante domande: chi ero, come lavoravo, come avevo avuto l’idea di quella apparecchiatura
ecc.; ero contento e un po’ stupito.
La settimana dopo Morricone con altri musicisti romani è venuto a trovarmi a Torino!
Mi spiegarono che circa ogni 15 giorni già dal 1970 si incontravano con l’ingegner Lorenzo
Viesi negli uffici della sua fabbrica – la Sintelco – sita a Roma, in via dei Monti della Farnesina, 77
– per parlare di musica, di un nuovo linguaggio musicale, di nuove tecniche e apparecchiature.
Prima di salutarci mi invitarono a partecipare a questi incontri, e nel giugno dello stesso anno
incominciai a viaggiare da Torino a Roma.
Più che incontri erano delle vere e proprie lezioni che Viesi ci faceva; alcuni momenti,
confesso, erano entusiasmanti per come ci sentivamo coinvolti negli argomenti musicali che erano
trattati; ci coinvolgeva il confronto reciproco che nasceva tra di noi sollecitati dal desiderio di
scoprire insieme aspetti della musica che ci rendevamo conto non essere mai stati presi seriamente
in considerazione. Gli argomenti spaziavano dall’antropologia musicale alla fisica acustica, dalle
teorie pitagoriche a quelle dei teorici del Rinascimento, tutto rivisto e ridiscusso alla luce delle
inedite possibilità sonore e compositive offerte dai nuovi strumenti elettronici. Viesi si soffermava
ad analizzare sulla base di queste riflessioni le composizioni dei più famosi compositori della storia
della musica, sottolineando i compromessi (come il temperamento equabile, cioé l’aver deciso che
l’ottava sia divisa, in base ad un calcolo matematico, in 12 intervalli perfettamente uguali – i nostri
12 semitoni) che nel corso del tempo si erano dovuti accettare nella pratica musicale e che con
l’avvento dell’elettronica sarebbe stato possibile e doveroso correggere e superare. La nostra
partecipazione era, come dire, intensa; ascoltavamo, chiedevamo spesso maggiori spiegazioni, e alle
volte rimanevamo sconcertati da affermazioni a nostro avviso esagerate; allora ci mettevamo a
studiare, ad approfondire quanto avevano sentito per poi metterci a confronto con Viesi negli
incontri successivi.
Vorrei ora mettere in evidenza il perché di tanto entusiasmo, del tanto o poco tempo che ognuno
di noi dedicava allo studio, alla ricerca di risposte plausibili alle sollecitazioni che ci venivano dai
nostri incontri.Gli anni ’60/’70 sono stati anni di forte crisi del sistema musicale tradizionale, una
crisi del resto che era stata preparata già dalla ricerca di nuove forme, di nuove sonorità e di nuove
tecniche compositive operata dalle avanguardie storiche a partire dalla fine dell’Ottocento.
Per spiegare meglio questo momento riporto quanto scrive Franco Evangelisti nell’articolo dal
titolo Musica mediante strumenti elettronici, pubblicato nella rivista “Cultura e scuola”, 42 (1972).
Nel contesto delle considerazioni che egli sviluppa sulla musica contemporanea è possibile
comprendere meglio perché l’incontro con Viesi fu così importante non solo per lui, ma anche per
altri musicisti.
Dopo una sintetica analisi degli strumenti musicali tradizionali che nel corso della storia sono
stati messi a disposizione del musicista, Evangelisti osserva che il compositore “è stato sempre
vincolato e condizionato da un materiale preformato. … Con questi nuovi strumenti elettronici tutto
ciò non esiste, siamo soli davanti a dei generatori, che danno delle frequenze semplici o composte, e
che mediante altri accorgimenti elettrici vengono accoppiati, manipolati con vari sistemi. … Il
compositore si trova davanti a un materiale grezzo, puro, diciamo anche impropriamente che si
trova di fronte a delle molecole di suono, dalla cui manipolazione potrà ottenere una materia sonora.
… Risulta pertanto chiaro che lavorando con questi mezzi si dovrà affrontare sempre una fase di
formazione; qui comincia il vero problema. … Si deve ricordare che la musica è, secondo Edgar
Varèse, l’arte di organizzare i suoni; volendo quindi entrare nel cuore di questa arte, cioè la materia
sonora, si devono assolutamente avere quelle cognizioni che ne descrivono il fenomeno in tutta la
sua completezza, senza problemi estetici. Ora tenendo conto delle condizioni storiche, si deve
ricorrere alla sola realtà possibile, la scienza, perché solo la scienza permetterà anche in futuro dei
progressi, sia attraverso la fisica sia attraverso la fisiologia. … Personalmente … ho continuato a
cercare ed a domandare e ho avuto la fortuna di incontrare Lorenzo Viesi, che già dal 1930-1936
aveva trovato per tutti delle risposte molto valide. L’ho trovato solo, isolato, ma non scoraggiato,
l’ho trovato più sicuro che mai delle sue teorie, convinto però che i musicisti attuali non se la
caveranno con facilità, soprattutto per la loro mentalità. … Lo studio della Armosonia e della
Cosmogonia di Viesi porterà un poco di ordine e la attuale confusione verrà dissipata, a patto che si
compia uno sforzo, così si potrà ringraziare questo ingegnere solitario, che è molto erudito in
materia di cose della musica. Soltanto allora, quando si sarà compresa la strada da percorrere, strada
peraltro difficile e affascinante, si saprà cosa fare, e si potrà avere una nuova indicazione utile
all’uomo che usufruendo dell’elettronica permetterà la realizzazione, la traduzione di un pensiero più
evoluto in manifestazione di vita”.
Franco Evangelisti, il “motore” del gruppo che si ritrovava in via dei Monti della Farnesina,
muore il 28 gennaio del 1980.
A poco a poco ognuno riprese la sua strada.
Io continuai a incontrarmi con Viesi invitandolo a diversi incontri che organizzavo per far
conoscere le sue teorie. Registrai anche una lunga intervista che Emanuele Pappalardo ed io gli
facemmo, penso nel 1982.
In tutti gli anni passati insieme con il gruppo romano potete facilmente pensare che avrei tanti
episodi da raccontare; ma di uno solo vorrei farvi partecipi e si riferisce ad un incontro che feci con
Morricone circa tre anni fa. Stavo uscendo, con Carla, da un concerto dall’auditorium del
conservatorio di Santa Cecilia di Roma, quando vidi Morricone e la moglie che stavano uscendo,
circondato da tanti musicisti che gli parlavano. Mi avvicinai e con grande stupore di tutti Morricone
mi venne subito incontro; ci abbracciammo: il tempo non aveva cancellato il ricordo di quella
nostra comune esperienza che aveva come unico scopo l’amore di entrambi per quell’arte misteriosa
che chiamiamo musica.
Per spiegare meglio questa mia affermazione vorrei condividere con voi quanto scrive
drammaturgo e poeta tedesco Heinrich Heine: “La musica è una cosa strana, oserei dire che è un
miracolo, perché sta a metà strada fra pensiero e fenomeno, fra spirito e materia, una storia di
nebuloso mediatore uguale e diverso da ciascuna delle cose che media – spirito che necessita di una
manifestazione nel tempo, e materia che può fare a meno dello spazio … noi non sappiamo che cosa
sia la musica”.

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